Mi accingevo a raccontare l’opposizione a Rocco Scotellaro per la pubblicazione delle sue poesie presso Einaudi quando – sarà stato per lo sforzo di ricordare – mi sono ricordato che Marina Valensise, nel libro Il sole sorge a Sud, fa dire ad Andrea Di Consoli ben altro di ciò che ha scritto in una sua recente lettera («Rocco Scotellaro morì inedito. Nel senso che Scotellaro non provò mai il piacere di veder stampato un suo libro, nonostante ci provasse in ogni modo, anzitutto con Einaudi, dove pare che a ostacolarlo fossero Cesare Pavese e Natalia Ginzburg.»)
Precisamente Di Consoli avrebbe scritto – non so dove, la Valensise non lo dice – ciò che dice il titolo di questo scritto. Ho controllato, al costo di dolorosa fatica, quale non posso più permettermi di fare per cercare un libro che non so dove sia finito.
Non ricordavo male: a pag. 198 La Valensise fa dire a Di Consoli «E Scotellaro, morto di infarto a trent’anni, dopo essere stato trattato a pesci in faccia da Cesare Pavese…».
Marina Valensise è una colta giornalista, che ha ricoperto l’incarico di direttrice dell’Istituto Italiano di cultura di Parigi. Il suo libro è molto bello e molto strano, chissà cosa le prese a un certo punto, scrivendolo.
L’avevo comperato alla libreria Feltrinelli di Ferrara, appena uscito,  cominciai a leggerlo per strada e continuai a leggerlo lungo il non breve percorso per casa. Mi aveva molto incuriosito la recensione che Raffaele La Capria aveva fatta sul Corriere della Sera, scrivendo che questo libro dalla copertina solare getta un po’ di luce su quanto di meglio oggi produce il bistrattato Sud e ci fa capire in che modo, nel Sud, «il sole sorge ancora». E’ un libro che parla del Sud contro la tendenza nazionale a parlarne male; per parlarne bene, ci vuole un po’ di autostima e un po’ di appartenenza (solo chi vi è nato può dire di appartenervi), un po’ di anticonformismo (solo chi è libero da pregiudizi può parlarne), e molta informazione.

La cosa strana e incomprensibile di questo libro è che, invece, c’è molta disinformazione, da restare allibiti. La disinformazione comincia quando il viaggio porta l’autrice in Lucania. Non capisco come mai non se ne fosse avveduto neanche La Capria, che giovanissimo, nell’immediato dopoguerra, partecipò all’avventura della rivista letteraria Sud con Pasquale Prunas e lo stesso Scotellaro.
E’ una roccia don Raffaele, si vede che lui, benché abbia toccato o stia per raggiungere i 100 anni, non è un nostaligico legato al suo passato, come dice il prof. Vitelli

Le cose, scriveva don Raffaele «Stanno cambiando anche nella Basilicata che cerca in ogni modo di liberarsi dalla memoria dolorista e miserabilista della civiltà contadina celebrata da Carlo Levi. E a Matera, per esempio, i Sassi dove una volta come cavernicoli abitavano i contadini sono stati trasformati in una meta turistica e dotati di lussuosi alberghi. Quello che era «l’ epicentro della desolazione» sotto lo sguardo di Rocco Scotellaro e di Carlo Levi, ora è visto da Gaetano Cappelli, autore di Parenti lontani, con uno sguardo nuovo.»

Per carità. Cappelli è uno scrittore che piace, e credo che piaccia anche a Di Consoli. A me no o non tanto. Ma lui legittimamente può gettare uno sguardo nuovo sulla Basilicata. I nostalgici come me si guardano alle spalle, ma siamo rimasti in pochi. Ciò che non è legittimo – dico alla Velensise, non a Cappelli – è prendere tanti fischi per fiaschi, come ne ha scritti lei (lo posso provare, ho gli appunti che presi quando lessi il libro). Penso quindi che anche la frase attribuita a Di Consoli sia un fischio scambiato per fiasco. Comunque, certamente forte, la frase attribuitagli, che l’abbia detta o no, dice sostanzialmente il vero. Quando venni a conoscenza della reale opposizione di Pavese a Scotellaro mi domandai se Rocco ne avesse avuto un minimo sentore. Me lo sono domandato anche ora e resto convinto che no.

Rocco non era un ipocrita. Non avrebbe scritto a Eugenio Montale il 2 marzo 1953 “Nel chiederLe di parlare a Mondadori (il libro è già passato dal setaccio redazionale di Einaudi. Pavese mi fu molto amico per invaghirsene), La prego di aprirmi la strada ad un colloquio più esteso”. Non avrebbe fatta la stupenda e commemorazione di Pavese a noi amici, durante le vacanze di Natale del 1950, al focolare di casa Albanese, che allora era nella Rabata di Tricarico.
Eravamo io, Antonio, il padre e un paio di amici del padre. A questi in particolare Rocco voleva parlare di Pavese, farlo conoscere e lo fece col cuore.

Anno terribile quel 1950. L’arresto Rocco e l’ingiusta detenzione per due mesi, la costrizione (costrizione, obbligo: so quello che scrivo!), l’impiego a Portici, che fa indignare Amelia (Miriam) Rosselli, la quale non si chiedeva come avrebbe fatto Rocco a combinare il pranzo con la cena, il suicidio di Pavese il 27 agosto.

Al Centro di documentazione di Tricarico c’era, e ci sarà ancora da qualche parte, non ricordo quale libro di Cesare Pavese con la dedica Al Centro di documentazione di Tricarico in omaggio a Rocco Scotellaro, che mi fece pensare che fosse invaghito della poesia di Rocco.

Col prossimo post, con l’aiuto sostanzioso del prof. Vitelli, vedremo come si è realmente espressa l’opposizione a Scotellaro presso Einaudi.

 

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