CHI ERA L’ISPIRATRICE DI MICÒL IL PERSONAGGIO DI BASSANI DEL “GIARDINO DEI FINZI-CONTINI” ?
NON SAREBBE TERESA FOSCOLO IN FOSCARI ALLA QUALE IL MANOSCRITTO E’ DEDICATO BENSI’ LA SORELLA GIULIANA, CHE SI LAUREO’ IN INGLESE A VENEZIA COME LA PROTAGONISTA DEL ROMANZO
Quando, nel 2016, la Biblioteca Ariostea di Ferrara ricevette in dono dagli eredi di Teresa Foscolo in Foscari il manoscritto del Giardino dei Finzi-Contini, la notizia di quell’inaspettata acquisizione fu accolta dai filologi con comprensibile entusiasmo. Palpitante di correzioni, chiose e varianti, la prima redazione di uno dei romanzi italiani più amati – e rimaneggiati – del Novecento si offriva finalmente alla loro lente d’ingrandimento. Oltre all’entusiasmo, l’autografo di Giorgio Bassani destò curiosità, soprattutto per la dedica che recava sulla prima pagina: «Cara Teresa, senza il tuo aiuto Il giardino dei Finzi-Contini non sarebbe mai stato scritto. Desidero che questi quaderni restino per sempre con te. Giorgio // Venezia, 17 dicembre 1961». Tanto bastò a persuadere gli studiosi di Bassani che la nobildonna veneziana, nota per le sue battaglie ambientaliste, fosse la misteriosa e magnetica protagonista del libro, Micòl. O meglio la sua ispiratrice.
Ma se, più che una musa, Teresa Foscolo in Foscari fosse stata una fonte?
Chiunque abbia letto il romanzo, pubblicato dall’Einaudi nel 1962, sa con quanta accuratezza l’autore abbia ricostruito il contesto sociale nel quale si snoda la storia d’amore fra l’io narrante e Micòl, ossia quello della comunità ebraica ferrarese durante il fascismo, frammentata in una pluralità di riti e sinagoghe, ma unita in un comune destino di discriminazioni e persecuzioni. E chiunque consulterà il manoscritto, suddiviso in sei quaderni e datato 1958-1961, si renderà conto di quanto lavoro, non solo sul piano stilistico, si nasconda dietro ogni pagina.
Dove è descritta la cappella funebre dei Finzi-Contini, per esempio, troverà una tabella con le date di nascita e morte di ciascun membro della famiglia e i calcoli per stabilirne l’età al momento della scomparsa (q. I, p. 26); dove è rievocato il primo colloquio fra il narratore e Micòl, avvenuto nel giugno del 1929 lungo le Mura degli Angeli, troverà invece uno schizzo di quel tratto della cinta muraria ferrarese (q. I, p. 156); mentre dove è illustrato l’arredamento dello studio di Alberto, così «radicalmente diverso» da quello della magna domus, troverà una planimetria della stanza con tanto di mobili abbozzati (q. III, p. 14).
L’unico elemento del romanzo che sembra voler sfuggire a questo sforzo di accuratezza storica e di coerenza narrativa è la sua protagonista.
Creatura vaga e opalescente come i «làttimi» che colleziona (bicchieri, calici, ampolle), Micòl oscilla fra due città: Ferrara, in cui è nata nel 1916, e Venezia, in cui studia lingue. Pur dichiarando di patirne l’atmosfera malinconica, è a quest’ultima che assomiglia maggiormente. Ciò lascerebbe supporre che Teresa ne sia stata effettivamente l’ispiratrice. Ma i capitoli «veneziani» sono anche quelli in cui il personaggio pianta più saldamente i piedi nella Storia.
Micòl appartiene a quel gruppo di universitari «di razza ebraica» ai quali, essendosi iscritti prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali, fu concesso di concludere il ciclo di studi.
L’esame di laurea, svoltosi nel febbraio del 1939, è descritto da Bassani con sorprendente esattezza. La discussione della tesi, riguardante Emily Dickinson, soddisfece tutta la commissione, a eccezione del professore di tedesco, «un nazista della più bell’acqua!». «La signorina era ebrea – affermò a porte chiuse -, oltre a ciò non risultava nemmeno discriminata, e si parlava addirittura di lodarla!». A nulla valsero i tentativi del suo relatore, titolare d’inglese, di spiegare «che l’intelligenza e la preparazione (bontà sua!) non avevano nulla da spartire con i gruppi sanguigni». La lode le fu negata e a Micòl non rimase «altra soddisfazione che quella di accogliere il verdetto col più impeccabile dei saluti romani».
Una scenetta tragicomica, i cui personaggi avevano tuttavia tratti reali, a cominciare da Micòl.
Ma Teresa Foscolo, sposatasi a diciannove anni con il conte Ferigo Foscari, aveva interrotto gli studi dopo il liceo. Sua sorella Giuliana, invece, no. Nata nel 1913, si era iscritta a Ca’ Foscari nel 1930, per frequentare, come Micòl, la sezione magistrale di lingue straniere. Come rivela il verbale del suo esame, anche lei scelse di laurearsi in inglese con una tesi su una scrittrice (la romanziera britannica Mary Webb). La discusse, è vero, quattro anni prima di Micòl, ma le analogie erano anche altre. Il suo relatore, Ernesto Cesare Longobardi, assomigliava in modo singolare a quello del romanzo, e ancor di più il professore di tedesco, Adriano Belli. Non sappiamo che opinione avesse Giuliana Foscolo del primo, il quale era tuttavia noto all’intera comunità cafoscarina per il suo passato socialista e il suo presente comunista. Di certo, invece, ricordava con inquietudine il corso di Belli del 1933-34 sulla Germania di Hitler, durante il quale avevano dovuto leggere vari passi del Mein Kampf. Se non altro perché, in seguito alle leggi razziali, il marito Mario Sonino fu costretto a riparare in Svizzera, abbandonando moglie e figli nel Bellunese.
Dopo il 1943, grazie anche alla conoscenza dell’inglese acquisita a Ca’ Foscari, Giuliana Foscolo avrebbe svolto un ruolo determinante nell’organizzazione della Resistenza, fungendo da trait d’union fra i soldati americani e i partigiani veneti. Tutt’altro destino toccò a Micòl. All’indomani dell’8 settembre fu prelevata da casa, assieme ai genitori e alla nonna, da un gruppo di repubblichini. Dal carcere di Ferrara, fu tradotta a Fòssoli e di lì a poco deportata in Germania. A quel punto la sua storia si confonde con quella di migliaia di altri ebrei italiani.
Tommaso Munari e Antonella Sattin, Il Sole 24 Ore DOMENICA 2 gennaio 2022
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Lo avevo già letto domenica e immaginavo che lo avresti messo a disposizione dei tuoi lettori.
Molto interessante.
Buon anno.
Grazie. Buon anno a te e ai tuoi cari