Caro Andrea,

Ritorno alla visita di Mussolini nel 1036 a Avellino, Montevergine e Irpinia e in Lucania. Per noi lucani quella visita fu una presa per i fondelli, mentre la prima parte della visita fu piuttosto comica, anzi che storica come venne strombazzata. Te la racconto per questi motivi e per un dettaglio rappresentato dall’improvviso cambiamento di programma circa il passaggio di Mussolini per Palazzo San Gervasio. Due lettere, dunque.

Prima, il lato comico.

Dopo l’impresa etiopica con la conseguente proclamazione dell’Impero il 9 maggio 1936, iniziava per il regime fascista il periodo del massimo consenso con il coinvolgimento emotivo del popolo e la solidarietà per la politica mussoliniana anche come reazione alle sanzioni economiche inflitte dalla Società delle Nazioni.
In questo contesto trionfalistico, Mussolini prese la decisione di far svolgere in Irpinia, ancora devastata dal disastroso terremoto del 23 luglio 1930, le manovre militari del XIV anno dell’era fascista (le prime manovre militari dell’Impero) e di visitare Avellino e le zone dell’Irpinia dove si sarebbero svolte le manovre.

La visita del duce fu organizzata in un contesto trionfalistico. Lo accompagnava tutto il regime (il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, Costanzo Ciano, ministro degli esteri e genero del duce, i 3 quadrunviri della rivoluzione Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi (il quarto quadrumviro Michele Bianchi era morto nel 1930), il segretario del P.N.F. Achille Starace).

Il 24 agosto Mussolini incontrò il re e il principe Umberto a Napoli, e alle 20 di quella stessa giornata raggiunse Avellino. Il 25 ispezionò le zone delle operazioni e il pomeriggio del 26 salì al santuario di Montevergine per una visita in pompa magna. Qualche giorno dopo anche il re salì al santuario, che aveva già visitato quando viveva a Napoli come erede al trono col titolo di principe di Napoli, ma non trovò nessuno: l’abate e i frati non c’erano, stavano facendo passeggiate nei boschi odoranti di tigli, per una salutare distensione dopo le fatiche per l’accoglienza al duce.

Mussolini riprese i suoi viaggi, tra entusiastiche manifestazioni, nella zona delle operazioni. Fu a Sant’Angelo dei Lombardi, Bisaccia, Lacedonia, Calitri (valle dell’Ofanto), per trattenersi nei due giorni successivi in Lucania.

Il 30 agosto fu l’ultimo giorno delle manovre. A conclusione della visita, nel pomeriggio, ad Avellino, imbandierata e tappezzata di manifesti, da un podio alto circa 6 metri posto davanti il palazzo del Governo, Mussolini rivolse al folto pubblico che gremiva strade e balconi un discorso (il discorso del Grande Rapporto) che venne radiotrasmesso dalle stazioni dell’Eiar e diffuso mediante altoparlanti in tutte le piazze d’Italia.

Il discorso del Gran Rapporto, grondante demagogia e retorica, che la tronfia prosa fascista iperbolicamente definì storico, si incentrò sui miti della patria e dell’efficienza dell’esercito, tanto da concludersi con una frase ad effetto “Abbiamo tirato diritto e così faremo domani e sempre”. A ricordo, fu murata sulla facciata del palazzo una lapide. La folla irpina, soggiogata dal delirio di onnipotenza che “tracimava” dalla figura, dai gesti e dalla straordinaria vis loquendi dell’abile oratore, accompagnò l’allocuzione con irrefrenabili applausi e scandendo il nome del duce, illudendosi, anche per la colpevole responsabilità della stampa locale, osannante incondizionatamente l’attività del regime, di risolvere i mali e i gravi problemi da cui era afflitta, come scrisse il prof. Giovanni Pionati (professore al liceo di Avellino, autore di storie locali, sindaco del capoluogo irpino in occasione del devastante terremoto del 1980), testimone oculare e autore di un libro sull’evento intitolato «Le grandi manovre del 1936. Mussolini ad Avellino. Memorie e immagini».

La mattina del 31 agosto nella piana di Volturara sfilarono davanti al re le truppe (60.000 uomini, 200 carri armati, 400 cannoni, 400 mortai, 3000 mitragliatrici, 2800 autocarri), che rappresentavano, come affermò con la solita enfasi Mussolini nel suo ultimo discorso, “una modesta, una quasi trascurabile frazione in confronto del totale di uomini e di mezzi sui quali l’Italia può oggi sicuramente contare”. Badoglio, quattro anni dopo, si opporrà all’entrata in guerra, ricordando a Mussolini che non avevamo neppure le camice per tutti i soldati e il duce gli rispose che aveva bisogno di 200 morti per sedere al tavolo della pace!

Alle ore 15,15 del 31 agosto Mussolini uscì dal Palazzo del Governo per recarsi a Salerno, dove in motoscafo raggiunse il trimotore, che lo aspettava in mare, per fare ritorno a Roma.

Riguardo alla visita in Lucania c’è solo da aggiungere a quanto ti ho raccontato con la lettera del 9 gennaio scorso l’improvviso cambiamento di programma del passaggio di Mussolini per Palazzo San Gervasio. E’ un dettaglio gustoso, che mi riguarda personalmente. Te ne parlerò domani.

 

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