Piero Stefani nella sua stupenda celebrazione del Centenario di Pierpaolo Pasolini nota che nel film «Il Vangelo secondo Matteo» non vi è alcuna trionfale uscita di Cristo dalla tomba; in esso non sventola alcuno stendardo, e, per dirla con Giorgio Bassani, definisce il «Risorto di Sansepolcro» di Piero della Francesca «Il Cristo contadino».
Inevitabilmente la definizione richiama quella di «poeta contadino» e l’amicizia di Giorgio Bassani per Rocco Scotellaro – ma non solo. La definizione bassaniana si allarga in direzioni che forse sono largamente ignote; solo di una ho un confuso ricordo. Si tratta di critiche non note, come dicevo, solitarie e asperrime su due “idoli”: il Cristo di Maratea e il «Cristo si è fermato a Eboli» di Carlo Levi.

La statua del Cristo di Maratea

Bassani ha soggiornato per ben quindici anni a Maratea e il bellissimo sito lucano lo aveva conquistato al punto che gli dedicava  poesie. Il suo unico articolo su Maratea – un articolo sulla Statua del Cristo che sovrasta Maratea , liquidata come  una delle tante statue del fascismo – – gli valse però il disaccordo dell’intera comunità di Maratea.

Scrive Bassani: «Abbiamo da tempo la convinzione che la scultura, quella buona, non sa cosa farsene né dell’espressività della “maschera” né della simbologia gestuale. Il Cristo del monte San Biagio, a guardarlo per quello che è veramente, nella sua realtà effettuale, se qualcosa esprime non esprime nulla che abbia a che fare con la redenzione della gente del nostro povero mezzogiorno. Grosso, massiccio, gessoso, aeronautico, sudamericano, non riesce, essenzialmente, che a deturpare il paesaggio. Il monte San Biagio, su cui si erge, è ridotto da esso, per totale assenza all’ingiro di termini di confronto, a un sasso da niente, ad una specie di altarino d’uso domestico. Guardiamolo serenamente, attenendoci ai criteri della pura visibilità: e non ci sarà difficile riconoscerlo per fratello di tante altre statue del tempo fascista, appena appena camuffato com’è dall’atteggiamento gigionescamente serafico di un deteriore cattolicesimo.»

Quando a Maratea , a Villa Tarantini, ci fu la mostra di Giorgio Bassani a cura della omonima Fondazione di Ferrara, si andò alla ricerca di quell’unico articolo,  ma , una volta trovatolo, curatori e presidente del Centro culturale si rifiutarono di accogliere e integrare la mostra con quel contributo, unico e quindi ancora più significativo.  Insomma, puoi essere anche Bassani, ma, il disaccordo su una opinione estetica bastò per ignorare tutto il resto che quella persona ha dato alla cultura mondiale.

Il Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi.

 Devo l’informazione che sto per dare a un articolo della prof. Rosaria Fortuna, scrittrice, che riassumo.

Nell’incipit di “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi è racchiuso tutto il senso del libro. “Sono passati molti anni, pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia  (…) Ma chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso, mi è grato rimandare con la memoria a quell’altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato, eternamente paziente; a quella mia terra senza conforto e dolcezza, dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza, la sua immobile civiltà,  su un suolo arido, nella presenza della morte.»
La stanza chiusa dell’incipit è la stanza in cui Levi visse, a Firenze, dal 1941 al 1945, nell’appartamento di Anna Maria Ichino, in piazza Pitti. Firenze era occupata dai nazisti e per questa ragione, mentre scrive del suo confino in Basilicata, più che al mondo chiuso della Basilicata, Carlo Levi sta pensando alla sua immutata condizione umana di prigioniero, alienato, ebreo a Firenze. Questo passaggio, mai approfondito, se non da Giorgio Bassani, permise allo scrittore ferrarese di  interpretare il Cristo diversamente, e con esso anche la storia d’Italia.

Giorgio Bassani e Carlo Levi si incontrano a Firenze tra i tanti perseguitati dal fascismo; Bassani, membro del Comitato toscano per la liberazione, in fuga da Ferrara, diventa il procacciatore di farina e di olio di Levi. Questo permetterà ai due di avere una consuetudine umana, al punto tale che Giorgio Bassani fu l’unico a stroncare il Cristo di Carlo Levi, già nel 1950 , su la rivista “Paragone: mensile di arte figurativa e di letteratura diretta da Roberto Longhi, Giorgio Bassani era una delle firme.

Cosa imputava Giorgio Bassani a Carlo Levi, e perché questa sua lettura critica del Cristo, e non solo del Cristo ma dell’opera tutta di Carlo Levi, non trovò ascolto?
Giorgio Bassani riteneva che il peccato più  grande di Carlo Levi fosse il suo essere indeterminato, al punto da ritenerlo un mediocre perché il suo operato non era omogeneo, né  frutto di un rielaborazione analitica della sua vita e dei contesti in cui si trovava ad operare. Eppure il Cristo era stato definito un libro documentaristico, sia Rocco Scotellaro, sia Alberto Asor Rosa in “Scrittori e popolo”, tra i tanti, lo interpretarono in questo modo, ma Giorgio Bassani non era dello stesso avviso. Ritiene che in quel libro non si parla della Lucania, e per comprenderlo per davvero diventa necessario leggere gli altri testi di Carlo Levi, visto che Carlo Levi mette se stesso al centro di qualsiasi creazione. In pratica, ed attualizzando il libro, il Cristo è un fantasy, il cui protagonista è un medico/ pittore, confinato in un mondo ostile e sperduto, in lotta contro il male, il fascismo, e il destino cinico e baro, l’ambiente a lui non congeniale.
A Carlo Levi non interessa oggettivare la realtà, né descrivere realmente la Lucania e chi la abitava. Il suo sguardo è deformato proprio perché  rivolto solo su se stesso. Carlo Levi è il superuomo in lotta con lo Stato, Stato che rende tutti incapaci e bisognosi di perdersi in un mondo primordiale ed indeterminato, che incidentalmente e come pretesto narrativo è quello dei contadini lucani.

Nell’ambito di un Convegno su i Sassi a Matera nel 1966 Bassani potè dire che la narrazione di una realtà, tutt’altro che depressa, aveva irrimediabilmente creato un danno ad un patrimonio culturale ed umano, semplicemente perché, invece di osservare la realtà,  con coraggio e consapevolezza, gli intellettuali avevano preferito autorappresentarsi a tutto danno della storia, degli uomini, di Cristo e di Eboli, che non c’entra per niente con le fantasie di Carlo Levi.

Carlo Levi non se la prende con Bassani, visto – scrive la prof. Fortuna – che era stato l’unico ad averlo osservato come uomo, ma si vendicò, a suo modo, ritraendo Giorgio Bassani con gli occhi vitrei.

 

4 Responses to CRISTO CONTADINO: Le aspre critiche di Giorgio Bassani al “Cristo” di Maratea e di Carlo Levi

  1. Rachele ha detto:

    Due interessanti informazioni.
    Condivido la critica al Cristo di Maratea.
    Gli occhi vitrei con cui è stato ritratto Bassani sono l’osservazione della prof. Fortuna oppure l’affermazione di Carlo Levi?
    Grazie e buona domenica.

    • Antonio Martino ha detto:

      condivido la critica al Cristo di Maratea, che da subito non mi è mai piaciuto.
      Esiste un ritratto di Bassani con occhi vitrei, ma che così ritraendolo Carlo Levi abbia inteso vendicarsi è affermazione della prof. Fortuna.
      Buona domenica.

  2. Maria Paola Langerano ha detto:

    Ti ringrazio, caro Antonio, per il tuo interessante articolo che mi ha rivelato particolari che non conoscevo della vita di due scrittori che amo.

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