Angelina è stata una grande insegnante. Quel quid di divino ed eterno che c’è in ogni essere umano
Angelina è stata una grande insegnante. Di famiglia, formazione e fede personale cattolica e spirito laico, ha insegnato a Tricarico, Napoli e Potenza. A Tricarico, in un primo tempo, era ospite di casa De Maria; Titina, sua amica del cuore, con la Olivetti prendeva appunti per le sue lezioni (argomento della lezione, annotazioni interessanti). Morto improvvisamente il padre di Angelina, don Pasquale – prof. Pasquale Gagliardi, chirurgo dell’ospedale di Potenza, dopo essere stato chirurgo dell’ospedale di Tricarico e di Matera -, la famiglia Gagliardi si trasferì nella sua bella casa, la più bella casa di Tricarico, la prima casa proprio all’inizio di via Rabata.
Peppino Passarelli ha ricordato di essere stato allievo di Angelina all’inizio del suo insegnamento e due recite organizzate da Angelina (Le avventure di Pinocchio e Piccola città di Wilder). Titina, quando le ho riferito questo ricordo, mi ha detto di ricordare Piccola città e di aver dattilografato il manoscritto che Angelina aveva preparato e ha conservato. Lo riporto con un aggiornamento in corsivo, in grassetto le parole sottolineate nel testo dattilografato.
Piccola città è la traduzione di Fruttero & Lucentini della piéce teatrale Our Town di Thornton Wilder (1938), vincitrice del premio Pulitzer come miglior testo teatrale nello stesso anno.
La pièce è una messa in scena, un’opera teatrale (oggi diremmo sceneggiata)
Fruttero Lucentini: è stato un sodalizio artistico fra gli scrittori Carlo Fruttero e Franco Lucentini. (Alcune loro opere hanno avuto trasposizioni cinematografiche e televisive)
Thornton Niven Wilder è stato un drammaturgo e scrittore statunitense vincitore di tre premi Pulitzer
Our Town è un viaggio introspettivo nella vita di ciascuno di noi. I personaggi, simboli dell’umanità più che individui, ci conducono, tramite l’onniscente Direttore di scena, a Grover’s Corners, cittadina del New Hampshire, simbolo anch’essa dell’intero universo. “La vita che capita una volta sola, il suo flusso quotidiano in tempo reale, e quanto impossibile sia notarla, goderla e ricordarla, mentre si sta vivendo.”
La piccola città non vuole essere il quadro della vita in una comunità del New Hampshire, né un’ipotesi sulle condizioni di esistenza dopo la morte.
Il testo dattiloscritto di Titina riporta il terzo atto della piéce nella parte riguardante proprio le condizioni di esistenza dopo la morte di Emily Webb (figlia del direttore del giornale) che vorrebbe tornare laggiù, magari per un solo giorno e un cantante del coro, il signor Simon Stimson(direttore del coro) le fa comprendere cosa significa essere vivi… Aggirarsi in una nuvola d’ignoranza; andare attorno calpestando i sentimenti di quelli … di quelli che avete vicino… Sprecare il tempo, buttarlo via come se gli anni da vivere fossero milioni. Sempre frastornati… Sempre in preda a una passione o a un’altra. Ora lo sai… Ecco cos’è quell’esistenza felice in cui volevi tornare: ignoranza, cecità…
La signora Gibbs (moglie del medico della città) ribatte con vivacità: Simon, questa non è tutta la verità, e lei lo sa… (Leggiamo e scopriremo che la verità è quel quid di divino ed eterno che c’è in ogni essere umano).
Terzo atto. Una dozzina di sedie disposte in tre file, piuttosto spaziate rappresentano altrettante tombe nel cimitero di Grover’s Corners.
In prima fila, dal centro: una sedia; la signora Gibbs (moglie del medico); Simon Stimson (direttore del coro). In seconda fila: tra altri, la signora Soames (signora del paese, che canta nel coro). In terza fila: Willy Webb (figlio del direttore giornale).
Il Direttore di scena: Questa volta, amici, sono passati nove anni… Estate del 1913. A Grover’s Corners, qualche graduale cambiamento c’è stato. Nell’insieme, tuttavia, non si può dire che le cose siano cambiate molto, da queste parti.
Questa qui è la parte nuova del cimitero. Ecco la nostra amica signora Gibbs. E vediamo un po’: ecco il signor Stimnson, organista della chiesa Congregazionista… E la signora Soames (signora del paese che canta nel coro), che si divertiva tanto ai matrimoni, ricordate?… E una quantità di altri… E il figlio del signor Webb (direttore del giornale), Willy, a cui venne l’appendicite mentre era in gita con i boy-scouts… Eh, già… Una quantità di guai e di dolori, finiscono per calmarsi quassù… La gente è affranta, addirittura disperata, quando porta i suoi cari su questa collina. Lo sappiamo tutti com’è… Ma poi il tempo… e giorni di sole… e giorni di pioggia… e la neve… Insomma, è già una consolazione che sia un bel posto, quassù… E ci verremo noi stessi, quando il nostro tempo sarà scaduto. Ora c’è da dire qualche cosa che tutti sappiamo, ma a cui… Be’,… a cui non si può dire che tutti pensiamo dalla mattina alla sera… Dunque, tutti sappiamo che qualcosa è eterno. Non sono le case, questo qualcosa, e non sono i nomi, e non è la terra, e non sono neppure le stelle… Ma ognuno lo sa, ognuno lo sente nelle proprie ossa, che questo qualcosa ha a che vedere con gli esseri umani: con ogni essere umano… Da cinquemila anni a questa parte, tutti i più grandi uomini continuano a dimenticarlo: in fondo a noi, giù nel fondo di ogni essere umano, c’è qualcosa che è eterno. (Pausa.) Sapete tutti come so io, che i morti non continuano per molto tempo a interessarsi di noi, gente viva. A poco a poco perdono contatto con la terra, i morti… e con le ambizioni che hanno avuto… e coi piaceri che hanno goduto… e coi dolori che hanno sofferto… e con le persone che hanno amato… Si svezzano a poco a poco dalla terra: proprio così, direi io. Si svezzano… E così, mentre stanno qui, la loro parte terrena si consuma, e un po’ alla volta lentamente si vanno facendo indifferenti a ciò che accade a Grover’s Corners. E aspettano. Sentono che qualche cosa di importante, di grande, sta per venire, e aspettano. Ecco: quello che c’è di eterno, sta per venire alla luce… Non è forse questo, che aspettano? Delle cose che ora diranno, alcune forse feriranno i vostri sentimenti… Ma vedete; madre e figlia… marito e moglie… amico e nemico… ricco e povero… tutte queste cose terribilmente importanti, in qualche modo impallidiscono, quassù… E quando se ne va il ricordo, che cosa resta?
Emily … Ma ci si può tornare, laggiù, mamma Gibbs!… Ci si può tornare… nella vita. Lo sento, lo so!… Proprio adesso, ecco, stavo ricordandomi di… della fattoria… e per un momento ci sono tornata davvero… Avevo il mio bambino sulle ginocchia…
Signora Gibbs. Sì certo, che si può.
Emily. Posso tornare laggiù e viverli di nuovo tutti quei giorni… No?… No, mamma Gibbs?…
Signora Gibbs. Tutto quel che posso dirti io, Emily, è di non farlo.
Emily (con vivacità, al Direttore di scena). Ma è vero, no? Non è vero che posso tornare a viverla… laggiù… la mia vita?
Direttore di scena. Sì… Certi hanno provato… Ma presto sono tornati qui.
Signora Gibbs. Non farlo, Emily.
Signora Soames. Emily, non farlo. Non è come pensi che sarebbe.
Emily. Ma io non rivivrò i giorni tristi. Ne sceglierò uno felice… Sceglierò il giorno in cui mi sono accorta per la prima volta che ero innamorata di George. Perché dovrei provare dolore?
I morti tacciono. Alla domanda di Emily risponde il Direttore di scena…. Non sarebbe soltanto un riviverlo. Vedresti anche te stessa, mentre lo rivivi.
Emily. Sì…
Direttore di scena. E nello stesso tempo, vedresti quello che loro, laggiù, non vedono mai: il futuro. Sapresti tutto quello che dovrà accadere dopo…
Emily. E’ doloroso, questo? Perché?
Signora Gibbs. E non è la sola ragione per non farlo, Emily. Quando sarai stata qui più a lungo, vedrai che vivere, per noi, significa dimenticare… dimenticarci di tutto il passato, per pensare soltanto a quello che verrà dopo, per essere pronti a quello che verrà dopo… Quando sarai stata qui a lungo, capirai.
Emily (piano). Ma, mamma Gibbs, come potrò mai dimenticare la mia vita laggiù? E’ tutto quello che conosco. E tutto quello che ho avuto.
Signora Soames. Ah, Emily, non te lo consiglio. Davvero, non te lo consiglio.
Emily. Ma è una cosa che voglio capire da me. Sceglierò un giorno felice, comunque.
Signora Gibbs. No!… Almeno, scegli un giorno senza importanza. Anzi scegli il giorno meno importante della tua vita. Anche così, sarà già importante abbastanza…
Emily (tra sé). Allora dovrà essere un giorno di quando ancora non ero sposata… di quando ancora non avevo il bambino… Posso scegliere un compleanno, almeno, no? Sceglierò il giorno del mio dodicesimo compleanno.
Direttore di scena. Va bene. Il febbraio 1899. Un martedi… Vuoi un’ora particolare?
Emily. Oh, voglio tutta la giornata.
Direttore di scena. Cominceremo dall’alba, allora.
Aveva nevicato parecchio in quei giorni; ma la sera prima aveva smesso, e avevano già cominciato a sgomberare le strade. Ora il sole sta sorgendo.
Emily (con un grido, alzandosi). Ecco la Main Street… Ah, quello è il negozio del signor Morgan prima che lo cambiasse tutto… Ed ecco là la rimessa dei cavalli…
La scena non è mai stata particolarmente oscura, durante quest’atto; ma ora la metà sinistra del palcoscenico, gradualmente, s’illumina di più: la luce di una bella mattina d’inverno. Emilv s’avvia verso il corso.
Direttore di scena. Sì, è il 1899. Quattordici anni fa.
Emily. Ecco, è la nostra città come l’ho conosciuta da bambina. E guardi, ecco là casa nostra, con quella vecchia staccionata bianca che aveva intorno una volta… Ah, l’avevo dimenticato proprio, che una volta era così… E’ così bello! Loro… ci sono?…
Direttore di scena. Sì. Cioè, tua madre sta per scendere a preparare la colazione…
Emily (piano). Sta per scendere…
Direttore di scena. E tuo padre sta venendo dalla stazione… Ti ricordi?
Emily. No…
Direttore di scena. E’ stato a Clinton, al suo vecchio college, per tenere una conferenza. Ed è tornato adesso, col primo treno del mattino.
Emily. Guardi! Ecco Howie Newsome (moglie del medico). Ed ecco Warren, il nostro poliziotto. Ma è morto… Adesso è morto, Warren (Warren)… Da sinistra si odono le voci di Howie Newsome, dell’agente Warren e di Joe Crowell junior (giornalaio).
Emily ascolta rapita.
Howie Newsome. Su, Bessie!… Forza!… ‘Giorno, Bill! Warren. ‘Giorno, Howie. Howie Newsorne. Ti sei alzato presto. Warren. Sono stato giù al quartiere polacco, per via d’un tizio che s’era quasi assiderato. Aveva preso una sbornia e poi era rimasto a dormire nella neve. Credeva di essere a letto, quando l’ho svegliato.
Emily. Ecco anche Joe Crowell…
Joe Crowell. Buongiorno, signor Warren. ‘Giorno, Howie.
La signora Webb è scesa in cucina, ma Emily non si volta finché non la sente chiamare.
Signora Webb. Bambini! Willy! Emily!… E’ ora di alzarsi!…
Emily. Mamma, sono qui! Oh, come sembra giovane, la mia mamma! Non lo sapevo che fosse mai stata così giovane.
Signora Webb. Venite giù a vestirvi accanto al fuoco, se volete. Ma fate presto!…
(Howie Newsome, con le sue immaginarie bottiglie, è venuto dalla Main Street fino alla porta della signora Webb.) Buongiorno, signor Newsome. Brrrr… che freddo. Howie Newsome. Dieci sotto zero, su da noi, signora Webb.
Signora Webb. Ma pensa!… Si tenga ben coperto. Porta dentro le sue bottiglie, rabbrividendo.
Emily .(con uno sforzo). Mamma, non riesco a trovare il mio nastro turchino per i capelli.
Signora Webb. Ma apri un momento gli occhi, cara, no? Te l’ho preparato apposta… Dev’essere lì, sul cassettone, in bella vista…
Emíly. Ah, sì, sì… Si mette una mano sul cuore.
Il signor Webb sta venendo per la Main Street, dove incontra Warren.
Gesti e voci vivaci, nell’aria pungente.
Signor Webb. Buongiorno, Bill.
Warren. Buongiorno, signor Webb. Già in gjro?
Signor Webb. Vengo dalla stazione. Sono stato giù alla mia vecchia scuola, dalle parti di New York. Qui, nessuna novità?
Warren. No, niente… Solo un tizio, giù al quartiere polacco, che s’è messo a dormire nella neve, e stamattina era mezzo assiderato.
Signor Webb. Ah, lo mettiamo sul giornale, allora. Warren. Ma non è stato niente…
Emily (in un sussurro). Papà…
Il signor Webb, arrivato davanti a casa sua, batte i piedi per scrollarne la neve, ed entra.
Warren esce da destra.
Signor Webb. Eccomi qua.
Signora Webb. Oh, caro buongiorno! Com’è andata?
Signor Webb. Mah, bene, credo. Ho parlato un po’ come veniva, ma insomma… Qui, niente di speciale?
Signora Webb. No, non mi pare, salvo che fa sempre più freddo…
Howie Newsome dice che su alla sua fattoria fa dieci sotto zero.
Signor Webb. Ah, be’, ma anche giù a Clinton non scherzava… Non è un tempo da cristiani… Sbagli di stampa, nell’ultimo numero?
Signora Webb. No, neanche uno, m’è parso… Il caffè è pronto quando lo vuoi. (Il signor Webb s’avvia verso le scale.) Charles! Non dimenticarti che è il compleanno di Emily. Le hai portato qualcosa?
Signor Webb (battendosi una mano sulla tasca). Sì. Sì, ce l’ho qui. (Chiamando su per le scale.) Dov’è la mia bambina? Dov’è la mia bambina che compie gli anni? Esce da sinistra.
Signora Webb. Non farle perdere tempo adesso, Charles. E’ già abbastanza lenta così. Il regalo glielo darai a colazione… Sbrigatevi, bambini! Sono le sette. Non vi chiamo più, adesso.
Emily (piano, più con meraviglia che con dolore). Non mi rassegno a pensarci. Sono così giovani e belli. Perché dovranno diventare vecchi?… Mamma, sono qui. Sono diventata grande. Vi voglio bene a tutti, tanto… Oh, rivedere tutto come allora… (Guarda con aria interrogativa il Direttore di scena, dicendo o suggerendo:) Posso andarci?
(Il Direttore di scena annuisce brevemente. Emily entra in cucina dall’immaginaria porta interna, a sinistra della madre, e dice, con voce che ricorda quella d’una bambina di dodici anni) Buongiorno, mamma.
Signora Webb (le va incontro per abbracciarla e baciarla, col suo modo indaffarato e sbrigativo di sempre). Buon compleanno alla mia bambina, e cento di questi giorni. Lì sul tavolo c’è qualche cosa per te… qualche regaletto…
Emily, Oh, mamma, non avresti dovuto. (Getta un’occhíata angosciata al Direttore di scena.) Non posso… Non posso…
Signora Webb (in piedi davanti ai suoi fornelli, rivolta verso il pubblico). Compleanno o non compleanno, però, voglio che tu faccia colazione come si deve, eh? Voglio che tu cresca su bene, e diventi una ragazza forte… Quello lì in carta azzurra te lo manda la zia Carrie; e quell’album per cartoline credo che indovinerai chi l’ha portato. L’ho trovato in terra davanti alla porta, quando ho aperto per prendere il latte…
George Gibbs… (figlio) Dev’essere venuto che era ancora notte, addirittura… Molto carino da parte sua, con questo freddo…
Emily (tra sé). Oh, George! Me n’ero dimenticata di quell’alburn…
Signora Webb. Mangia piano, mastica bene… la colazione deve aiutarti ad avere caldo dentro, col freddo che fa fuori…
Emily (sempre più angustiata). Oh, mamma, ma guardami almeno un momento come se mi vedessi davvero! Mamma, sono passati quattordici anni. lo sono morta. Tu sei nonna, mamma. Io ho sposato George Gibbs. Willy è morto anche lui. Gli venne l’appendicite mentr’era in gita… Fu un dolore tremendo, quello. Ma adesso, almeno per un momento, siamo tutti insieme, mamma… Anche solo per un momento, siamo felici… Guardiamoci davvero
Signora Webb. Quello lì in carta gialla l’ho trovato tra le cose di tua nonna. Ora sei grande abbastanza per portarlo, e ho pensato che ti sarebbe piaciuto.
Emily. E questo me l’hai regalato tu! Oh, mamma, com’è bello! E proprio come lo volevo io! Com’è bello. Butta le braccia al collo della madre.
La signora Webb continua a cucinare, ma evidentemente è contenta.
Signora Webb. Bene, ci speravo che ti sarebbe piaciuto. L’ho cercato dappertutto. Avevo incaricato la zia Norah, ma non ne avevano neanche a Concord, e così, insomma, viene da Boston. (Ridendo.) Anche Willy ha qualcosa per te. L’ha fatta a scuola, nell’ora di lavoro manuale, sai, e ne è molto orgoglioso. Tu, mi raccomando, dinne meraviglie. Tuo padre, poi, ha una sorpresa, non so neanch’io che cosa. Sss eccolo.
Signor Webb (da fuori). Dov’è la mia bambina? Dov’è la mia bambina che compie gli anni?
Emily (al Direttore di scena ad alta voce). Non posso andare avanti. Non posso. Tutto succede così presto… Non abbiamo il tempo di guardarci, di vederci davvero… (Si siede singhiozzando. Le luci si abbassano sulla metà sinistra della scena. La signora Webb scompare.) Non me ne accorgevo, che era così… Accadeva tutto questo, tutte queste cose, e noi le vivevamo senza neanche accorgercene… Ah, riportatemi lassù… sulla collina… nella mia tomba… Soltanto, prima, ecco, un ultimo sguardo… Addio. Addio al mondo. Addio a Grover’s Corners… a mamma e papà… e al ticchettio della pendola… e ai girasoli in giardino… e alla colazione e al caffè… e ai vestiti stirati di fresco… e al dormire e allo svegliarsi… Ah, la terra è troppo bella, perché uno possa rendersene conto.
(Dopo una pausa, guarda il Direttore di scena e chiede tra le lacrime:) C’è nessuno… nessun essere umano… che sappia quello che sta vivendo mentre lo vive? Nessuno? Direttore di scena. No. (Pausa.) I santi e i poeti, forse… forse un poco
Emily. Sono pronta a tornare, adesso… Torna alla sua seggiola accanto alla signora Gibbs. Pausa.
Signora Gibbs. Sei stata felice?
Emily. No… Avrei dovuto ascoltarvi… Gli esseri umani, ecco dunque come sono: ciechi… Soltanto dei ciechi…
Signora Gibbs. Guarda, il cielo si sta schiarendo. Ecco le stelle.
Emily. Oh, signor Stimson, avrei, dovuto darle retta…
Simon Stimson (con impeto e amarezza crescente). Sì, e adesso lo sai. Adesso lo sai! Ecco cosa significa essere vivi. Aggirarsi in una nuvola d’ignoranza; andare attorno calpestando i sentimenti di quelli… di quelli che avete vicino… Sprecare il tempo, buttarlo via come se gli anni da vivere fossero milioni. Sempre frastornati… Sempre in preda a una passione o a un’altra. Ora lo sai… Ecco cos’è quell’esistenza felice in cui volevi tornare: ignoranza, cecità…
Signora Gibbs (con vivacità). Simon, questa non è tutta la verità, e lei lo sa… Guarda, Emily, come brilla quella stella. Sapevo come si chiamava, una volta… Un uomo tra i morti. Mio figlio Joel era marinaio e le conosceva tutte, le stelle. Quand’era a casa si sedeva sulla veranda, la sera, e diceva il nome di tutte, sissignore, una cosa straordinaria! Un altro uomo tra i morti. Le stelle fanno buona compagnia. Una donna tra i morti. Sì, sì, è proprio vero…
Simon Stimson. Sta venendo uno di quelli là. I morti. Che stranezza… Ma non è un’ora per venire qui, questa… Non s’era mai visto uno di quelli venire a quest’ora!…
Emily. Mamma Gíbbs, è George.
Signora Gibbs. Sss, cara. Riposati… Non…
Emily. E’ George. George entra da sinistra, e lentamente viene verso di loro. Un uomo tra i morti. Mio figlio Joel, che conosceva le stelle, diceva che ci sono voluti milioni di anni perché quei puntini di luce arrivassero quaggiù. Sembra una cosa incredibile, ma lui diceva proprio così: milioni di anni! George cade in ginocchio, poi completamente disteso ai piedi di Emily. Una donna tra i morti. Ma dico io! Ma se è modo di comportarsi!
Signora Soames. Dovrebbe essere a casa.
Emily. Mamma Gibbs?
Signora Gibbs. Sì, Emily?
Emily. Loro non capiscono, vero?
Signora Gibbs. No, cara. Non capiscono.
Il Direttore di scena entra da destra, tirando lentamente una tenda scura attraverso la scena. Lontano, un orologio batte debolmente l’ora.
Direttore di scena. Dormono quasi tutti, a Grover’s Corners. Solo qualche luce è ancora accesa. Shorty Hawkins, giù alla stazione, ha appena fatto passare il treno per Albany. E alla rimessa dei carri, qualcuno è ancora su a chiacchierare… Sì, il cielo si sta rasserenando. Le stelle, lassù, continuano il loro antico viaggio a girotondo. Gli scienziati non sanno ancora se ci siano altri esseri viventi, su quei mondi lassù. Certi dicono di no: che c’è soltanto pietre o fuoco; e che solo questo mondo qui s’affatica, s’affatica tutto il tempo, per fare qualcosa di se stesso. E la fatica è tanta che tutti quanti, ogni sedici ore, debbono mettersi giù a riposare. (Carica l’orologio.) Hm… mezzanotte, a Grover’s Corners. Riposate bene anche voi. Buona notte.
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