GLI ABIGEATARI, UNA POESIA VERAMENTE STUPENDA DI ROCCO SCOTELLARO

Chi non dorme nel mare sonnolento
delle ristoppie unite, sulle spoglie
dei calanchi, gli abigeatari.
Scansàti alle tamerici,
sulla sabbia accolta del fiume,
gettano i mantelli neri,
amano il loro mestiere,
uomini sono gli abigeatari.
spiriti pellegrini della notte,
si cibano all’alba.

Un piccolo verso novenario della poesie, «Scansàti alle tamerici», rinvia a grandi poeti.
“Myricae” è il primo libro poetico del Pascoli. Dedicato al padre, assume il titolo dalla quarta Egloga di Virgilio: «Arbusta iuvant humilesque myricae». Le umili myricae sono, appunto, le tamerici (o tamerischi) come traduce il poeta, che Dannunzio canta «salmastre e arse» nella bella e famosa poesia La pioggia nel pineto.

La tamarice, nota anche come scopa della sabbia, nella versione gallica, presente in Italia lungo tutte le coste sulle sabbie umide e salmastre, e all’interno sui greti dei torrenti, è un arbusto con rami sottili rivestiti di foglioline squamiformi e piccoli fiori rosei in spighe, da cui si ricavavano scope per pulire la polvere negli angoli più reconditi.

La parola abigeatari, che mi parve poetica, affascinante e romantica, la sentii pronunciare a prima volta a Potenza. Frequentavo il quarto ginnasio, e il fratello di un mio compagno di scuola, giovane magistrato in servizio presso il tribunale di quel capoluogo: – Ah! sei di Tricarico – mi disse – il paese degli abigeatari. – Chi sono gli abigeatari? – domandai. – Ladri di cavalli. – Non si preoccupò di essere più preciso, spiegandomi che l’abigeato è il furto di animali e non solo di cavalli. La parziale definizione degli abigeatari contribuì, col fascino della parola, a confermare nel mio immaginario un’idea romantica. Poi imparai che l’abigeato ha un posto di rilievo nella mitologia e che persino il ratto delle Sabine fu, per quei tempi, considerato un abigeato. Tanto fu sufficiente per accendere in me una corrente di simpatia e romantica ammirazione per gli abigeatari tricaricesi.

L’abigeato tricaricese non era l’abigeato povero sardo di pecore. Si raccontava di galoppate in fuga nelle notti senza luna per tratturi sconosciuti con i cavalli rubati, verso lontane e misteriose caverne, profonde chilometri, in cui nasconderli. Un’aura misteriosa avvolgeva il reato e rendeva personaggi gli abigeatari, che intanto conoscevo di persona, nei brevi intervalli di libertà tra una condanna e l’altra. Ne fu impressionato anche Rocco Scotellaro, fra l’incredula sorpresa di Rocco Mazzarone. Spiriti pellegrini della notte – li chiama Rocco – si cibano all’alba – amano il loro mestiere – Chi non dorme nel mare sonnolento/ delle ristoppie unite, sulle spoglie/ dei calanchi, gli abigeatari.

    Mario Desiati, giornalista di Repubblica, ispirandosi alla poesia di Scotellaro, ha visto i moderni abigeatari nei ladri sui treni. Riporto la prima parte del suo articolo «Quei ladri soffiatori sui treni per il Nord», pubblicato il 27 dicembre 2006:

«Alitano sui viaggiatori per verificare se sono svegli: se loro dormono, cominciano a derubarli “Ma anche noi abbiamo un codice: emigranti e ragazzi non finiscono mai nel nostro mirino”»
« E’ difficile vederli. Chi ha avuto a che fare con loro non riesce a descriverli, sono troppo rapidi e fuggenti come tutte le creature notturne. Sono ombre nere che seguono le traiettorie improbabili dei ragni. E come ragni salgono sui treni senza farsi notare. Le loro prede sono gli espressi e gli Intercity notturni, entrano facilmente, perché i vagoni degli espressi notte funzionano con le aperture manuali. Sfuggono ai controllori, i capitreno e i capistazione perché salgono dai lati dei binari e non delle banchine. Si acquattano nelle isole tra i vagoni, dentro i bagni, addirittura sopra i portabagagli spessi dei corridoi. Sono i topi di treno e sono i moderni abigeatari, coloro che un tempo passavano le notti in veglia per rubare il bestiame. Rocco Scotellaro diede loro dignità letteraria con una meravigliosa poesia: «…amano il loro mestiere/ uomini sono gli abigeatari,/ spiriti pellegrini della notte,/ si cibano all´alba…». Proprio all´alba puoi vedere i topi di treno perché come gli antichi abigeatari si cibano nei bar della stazione di Foggia, San Severo, Barletta, Bari Centrale. Certo non mangiano i lampascioni e le fette sottili di pane casereccio, sono avvezzi al cappuccino e il cornetto alla crema.
Quando le notti vanno bene si fanno correggere il caffè con la sambuca oppure il Bailey´s. Hanno gli occhi brillanti per la veglia e per quelle gocce alcoliche miste alla caffeina. Si accontentano di poco. »

 

One Response to TRICARICO- QUANDO ERA IL PAESE DEI LADRI DI CAVALLI

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