A via Santa Teresa di Tricarico c’è una taverna ricavata in un locale ipogeo segnalata dal FAI per la curiosa iscrizione sul portale.

Decine e decine di anni fa (frequentavamo a Potenza il quarto ginnasio) l’iscrizione mise in difficoltà me e Benito Lauria per il motivo che dirò più avanti; e tuttora è rimasta enigmatica. Il merito della segnalazione credo che spetti alla carissima amica Sabrina Lauria, la quale ancora ritiene enigmatica l’iscrizione.

Sulla parete della taverna sono scolpiti una mano con indice per indicare una direzione e un mascherone, dei quali si è occupato l’amico Mimmo Langerano con un interessante contributo di ricerche e riflessioni. Io l’ho letto, ma ignoro se è stato reso pubblico. Comunque, il mio intervento intende solo chiarire l’enigma dell’insegna.
Essa dice: OSTIUM NON HOSTIUM OPTIMI SED LYEI. Si traduce: ENTRATA DI AMICI (NON DI NEMICI) E OTTIMO VINO, cioè si traduce semplicemente quello che è scritto.
Io e Benito Lauria fummo messi in difficoltà dal genitivo / Lyei /, non riuscivamo a capire chi o cosa fosse. Per noi due la parola Lyei con tutta evidenza si presentava come seconda persona singolare del sostantivo di seconda declinazione Lyeus. Cercammo Lyeus sul Campanini Carboni e non lo trovammo; non ricordo se avessimo cercato il sostantivo scritto col dittongo Ly / AE / us, ma dubito che l’avremmo trovato, anche Campanini e Carboni forse non erano aggiornati.

Dal quarto ginnasio in poi, da quando era ancora in corso la seconda guerra mondiale, qualche passo in avanti nella conoscenza del latino l’ho fatto. Ho imparato che una lingua è dei parlanti e degli scrittori, e che la pronuncia del dittongo, che in principio era come è scritto / ae / e nel lungo scorrere del tempo si è condensata nella sola vocale / e /. Su questo sito ho pubblicato un articoletto sostenendo che l’italiano e il dialetto che parliamo sono il latino di oggi.
Concludendo, Lyaeus, Lyaei (o Lyeus o Lyei che la stessa cosa) sono la prima e seconda persona singolare di un epiteto di Bacco. Chi è Bacco lo sappiamo: è una divinità, dio del vino e della vendemmia,  nonché del piacere dei sensi e del divertimento. Lyaeus o Lyeus significa Liberatore e viene assunto come epiteto di Bacco, perché egli, col dono della vite, ha liberato gli uomini dagli affanni. Da qui a chiamare poeticamente lyeus (lyeo) il vino, il passo è breve.

Un altro dubbio concerneva il fatto che la congiunzione / sed / è posta dopo il genitivo / OPTIMI / e non prima: se fosse stata posta prima, l’insegna sarebbe stata chiarissima (Ingresso non di nemici ma di ottimo vino); essendo stata invece posta dopo, tutto cambia e bisogna cercare il vero significato.

Il  latinista Georges Arnaud, dovendo compiere un viaggio in treno, non trovando di meglio, comperò per caso all’edicola della stazione un romanzo giallo. In treno lo legge e scrive un soggetto, un saggio, una introduzione per dire che il romanzo giallo è costruito come il latino, e viceversa; cioè il latino si costruisce come un romanzo giallo. In latino le parole devono stare in disordine, perché se stessero in ordine si perderebbe l’effetto. Proprio come gli indizi in un romanzo giallo.
Se si cerca una prova, ce la offre Gilbert Murray, grande filologo inglese tra Ottocento e Novecento.  analizzando un’ode di Orazio, la nona del primo libro: Vides ut alta stet candidum Soracte. Vi invito a leggerla. Se la leggerete non capirete niente, e non perché non ricordate il latino. Anche se il latino lo ricordaste bene, non ci capireste ugualmente niente, perché bisogna cercare il significato parola per parola, risolvendo indizio dopo indizio. Ogni parola con la sua desinenza rinvia – come gli indizi di Agathe Christie – a diverse possibili combinazioni, a diverse possibili associazioni, a diversi possibili significati. Quando si legge il latino bisogna rinunciare a capire subito per gustare il piacere più grande di capire dopo. Dopo aver attraversato un bel po’ di realtà, intravisto varie possibili alternative, proprio come nel romanzo giallo, dove  sono tanti i possibili assassini e uno solo quello vero.

Il latino si può permettere di mettere le parole dove gli pare e piace, perché esso è una lingua inflessa, la posizione delle parole nella frase non ha alcuna importanza e le parole hanno le desinenze che riveleranno la loro funzione. Il latino è una lingua cantata e le parole non devono essere messe in ordine ma in modo da dare il giusto tono al canto, seguendo una modulazione metrica.

Per Titina il latino, invece, era come la matematica e piaceva perché lei ama immensamente la matematica più d’ogni altra cosa, non azzardo a dire più del marito e della carne della sua carne, perché, per l’apparire, si arrabbierebbe. Traduceva il latino in italiano con grande prontezza, all’impronta, alla cattedra quando era interrogata essendo sempre impreparata: se la cavava applicando appunto il metodo matematico, il metodo per la risoluzione dei problemi matematici.

Ora, finalmente, se mi date credito, capirete. E, dopo che avrete capito, sentirete quanto è bello. Vi do un saggio dei primi otto versi nella traduzione in italiano: / Guarda la neve che imbianca tutto il Soratte e gli alberi che gemono al suo peso, i fiumi rappresi nella morsa del gelo. Sciogli questo freddo, Taliarco, e legna, legna aggiungi al focolare, poi senza calcolo versa vino vecchio da un’anfora sabina./

Il testo latino: / Vides ut alta set nive candidum / Soracte, nec iam sustineant onus / silvae laborante geluque /flumina constiterint acuto. / Dissolve frigus ligna super foco / large reponens atque benignius / deprome quadrimum Sabina / o Thaliarche, merum diota /
Più avanti è costruito l’interno di una casa lucana, un interno semplice, contadino. Anche in questo interno rustico si può accendere la luce di una grande intensità sentimentale: « Lenesque sub noctem sussurri / composita repetantur hora».   E i dolci sussurri nella notte, si ripetano, all’ora stabilita per un convegno d’amore. Una fanciulla gioca a nascondino con l’amato. Si rannicchia in un angolo.  Ma un riso la tradisce: «Nunc et latentis proditor intimo / gratus puellae ab angulo». Leggete, e anche se ricordate bene il latino, ripeto, non capirete niente. E dapprincipio non si deve capire niente. Questo è il bello del latino.

Concludendo, a me pare che l’enigma sia sciolto e sia chiarito che nella taverna di via Santa Teresa entravano solo degli amici e dell’ottimo vino che li liberava dagli affanni.

 

3 Responses to IL ROMANZETTO GIALLLO DELL’INSEGNA DI UNA TAVERNA DI TRICARICO

  1. Rachele ha detto:

    Con i tuoi post é sempre un buon inizio di giornata.

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